2. Il letterato burlato

Italo Svevo ebbe sempre molto vivo il senso del ridicolo a cui, secondo la sua visione, si espone l’aspirante scrittore di fronte al rischio dell’insuccesso nell’arte letteraria, non a caso definita «ridicola e dannosa cosa». Un sentimento naturalmente esacerbato dalla scarsa attenzione a cui sono andati incontro i suoi primi due romanzi e non del tutto placato neppure dal successo del terzo. Come è stato spesso osservato, la novella Una burla riuscita rappresenta una sorta di esorcismo di questo privato incubo del romanziere, in cui il senso del ridicolo si esteriorizza nel meccanismo feroce della burla che lo mette in scena. Le tracce di questa condizione dello scrittore, astratto sognatore alle prese con la malvagità di personaggi ferocemente pratici e conseguenti, si ritrova spesso negli appunti privati di Svevo e anche nelle lettere. In quella alla moglie Livia spedita il 5 Aprile 1906 da Charlton, il “distretto di Londra” dove la famiglia aveva una fabbrica e una casa, Svevo si rappresenta in veste di inetto truffato da due abili marinai che, con la complicità di un manicotto di pelliccia, “lo mettono nel sacco”.

 

Charlton, 5 Aprile 1906

Carissima mia moglie, Ho ricevuto la cara tua del 2. […]. Adesso ascolta un po’ cosa succede al tuo misero marito e se è consigliabile di lasciar viaggiare solo in paese anglo-sassone un simile tizio. Ti assicuro che io feci la più stretta economia. Arrivai a Londra con in tasca più di una sterlina risparmiata sulle spese di viaggio. Puoi immaginare i calcoli che facevo su tutto l’oro che dovevo portarti e la tua sorpresa e la tua ammirazione!! Stavo precisamente facendo di questi calcoli e facendo ballare in tasca tre sterline d’oro che, essendo mie, avevo prese dalla cassa, quando si suonò alla porta della fabbrica. Andai ad aprire io stesso non volendo che gli operai perdano tempo. Mi trovo dinanzi due sottufficiali di marina mercantile coi galloni. Uno portava un grosso sacco sulle spalle, ma un bel sacco di tela da vela, di un tessuto fitto fitto. Li feci entrare con un certo rispetto. Quello che non portava il sacco doveva essere il superiore: Un bel giovane, vero inglese, sbarbato a puntino, dalla faccia austera e leale. Li feci entrare e con quella dirittezza inglese che tanto mi piace andarono subito all’argomento. Avevano delle pelliccierie prese da loro stessi al polo sud e al polo nord, a Trebisonda e all’Alaska, a Zanzibar e in California. Spiegarono le pelliccie con grande compiacenza quantunque io ripetessi che non volevo comperare niente. « There ìs no harm done », mi dicevano. Cominciai a chiacchierare per avere gratis la mia solita lezione d’inglese. […]. Sul più bello tirarono fuori un manicotto e un collare di pelliccia (sables dissero). Mi venne l’acquolina in bocca! Di color oscuro con riflessi gialli e rosei, la facevano ballare in mano che pareva la bestia viva ma una bellissima bestia soffice e destra. Io palpavo le mie tre sterline e guardavo il desiderato oggetto pensando che toccando al decimo anniversario del nostro matrimonio dovevo cominciar a pensare all’indennizzo. Domandai il prezzo: Quattro sterline; in America sarebbe venduto subito per 25 dollari quantunque colà hanno le pelli indigene. « Mi dispiace » risposi « ma non ne facciamo niente». Con tutta calma essi riposero tutto nel sacco e stavano per congedarsi. A me bruciava di lasciar partire quell’indennizzo tanto a buon mercato e, certo se io ti avessi detto le mie impressioni come erano allora, tu mi avresti dato della bestia di essermi lasciata sfuggire un’occasione simile. Balbettando parlai di 2 sterline. Non ne vollero sapere e fecero atto di mettere anche il manicotto in sacco; invece in quel sacco dalla tela fitta finii proprio io. Ebbi un’idea: Chiamai Nicoletto a consiglio. A lui vedendo la bestia che ballava di nuovo nelle mani dell’inglese brillarono gli occhi. «Deve valere almeno cinque sterline!» disse in italiano. Fu decisivo: Le tre sterline passarono dalla mia tasca in quella dell’inglese più fino. L’indennizzo si trovò sul mio putto e i due inglesi scomparvero come se non ci fossero mai stati lasciando però vere traccie del loro passaggio. Cominciai ad esaminare i due oggetti più da vicino e mi sorpresi che il manicotto tanto fine fosse foderato di tela anziché di seta. « Questi marinai! » pensai. In genere mi parve di poter essere soddisfatto del mio acquisto. A pranzo Nicoletto guardava il manicotto e sognava. Questa mane venne Tchap. Guardò il manicotto e, come è fatto lui, mi consigliò di non dire a nessuno di aver fatto un atto di commercio simile. Mi disse che, quantunque non se ne intendesse, egli riteneva che le due cose insieme non potessero valere più di 10 scellini e… 6 pence. […]. Porto i due cosi mostruosi a Trieste e li metteremo nel tesoro di famiglia ove abbiamo già tante altre belle cose. Intanto avendoti raccontato tutto l’afflizione non è più mia ma tua. Perdi 3 sterline e hai una prova di più quale razza di uomo hai sposato. Intanto ti abbraccio e bacio di cuore insieme alla mia Titilla cui scriverò domani.

Ettore

 

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