Letteratura Spicciola

Il laboratorio narrativo nelle lettere di Svevo

«Questa volta ho poco da fare e posso almeno fare un po’ di letteratura spicciola che so ti fa piacere». Così Svevo scrive alla moglie in una lettera da Murano datata 1 giugno 1911 che, da sola, basta a far comprendere il rapporto strettissimo che lo scrittore vede fra scrittura epistolare e scrittura tout court, fra lettere e letteratura.

Per lo scrittore, fin dai primi documenti della metà degli anni Ottanta dell’Ottocento, le lettere rappresentano una autentica palestra letteraria. Una funzione che si accentua nel periodo cosiddetto del silenzio, fra l’insuccesso di Senilità (1898) e l’intrapresa della Coscienza di Zeno (iniziata nel 1919) in cui le lettere rappresentano una trasgressione apparentemente innocente all’astensione che egli stesso si era imposto dalla letteratura.

In realtà è spesso nella scrittura epistolare che maturano i temi principali della sua narrativa successiva: scrivendo alla moglie Livia dall’isola di Murano, dalla Francia, dalla Germania o dall’Inghilterra, dove lo conducono gli affari della ditta Veneziani, Svevo descrive ciò che gli sta intorno, tratteggia diversi personaggi, racconta – o immagina? – situazioni comiche o tragiche, talvolta grottesche, altre volte oniriche.

E soprattutto, descrivendo sé stesso con grande autoironia e sottile civetteria, come un impiastro, una specie di Charlot chaplinano che incappa in gaffe e incidenti di ogni tipo, Svevo mette mano alla costruzione di quel personaggio caratteristico che, da Zeno in avanti, rappresenta il protagonista della sua narrativa, capace di determinare nel lettore forme di identificazione non sempre gradita.

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